Bisogna essere onesti! E riconoscerlo: essere evasori è una grande (inaccettabile) …fatica. Non è sufficiente avere la capacità di nascondere i guadagni per truffare il fisco e quindi la collettività. Occorre anche trovare il posto giusto dove conservare le carte compromettenti per sottrarle alla vista di ficcanaso inopportuni. Purtroppo, infatti, è necessario custodire anche qualche documento, qualche ricevuta, qualche contratto utili per svolgere comunque la propria attività.
Ne sanno qualcosa, a Bergamo, i due amministratori di due aziende del settore edilizio che avevano riempito alcuni grandi sacchi neri per i rifiuti con la documentazione non distrutta e li avevano sistemati sotto una botola in un sottoscala. Un sistema un po’ noioso e neanche tanto comodo: le carte non riuscivano a stare in ordine nei sacchi.
Poi, però, è arrivata la guardia di finanza. I militari hanno scoperto la botola in legno, grande meno di un metro per un metro. L’hanno alzata e hanno trovato una valanga di informazioni interessanti. Tanto che al termine di una serie di accertamenti bancari l’accusa per i due amministratori, denunciati alla magistratura, è aver occultato al fisco 32 milioni di imponibile per le imposte dirette e 6 milioni di iva. Sui risultati della finanza possono ora riflettere i critici delle nuove disposizioni per i controlli più penetranti negli istituti di credito per scovare chi non paga correttamente le tasse.
A volte la caccia al tesoro (degli evasori) può essere anche più complicata rispetto a quanto accaduto a Bergamo. Il tesoro è nascosto in modo ancora più ingegnoso. Due aziende produttrici di mobili della provincia di Treviso, sempre stando alle accuse della guardia di finanza, si sono distinte per una particolare creatività tecnologica. Si tratta di Jesse a Francenigo e di Zaccariotto Cucine a Gaiarine. Un appendiabiti e un attaccapanni nascondevano le serrature che impedivano l’accesso a stanze segrete con la contabilità in nero.
Differenti i meccanismi installati: nel caso dell’attaccapanni l’apertura elettromagnetica era possibile grazie a un telecomando, nell’altro caso un pomello copriva la serratura. Logicamente uguale l’obiettivo, in base agli addebiti: non fare il proprio dovere fiscale, sopportando costi minori e quindi facendo concorrenza sleale alle altre imprese.
Nel caveau segreto della Jesse c’erano cinque casseforti. Ma vi lavorava anche un’impiegata. Le sue condizioni di lavoro non erano il massimo della felicità: quando un lampeggiante rosso attivato dalla portineria annunciava il pericolo di un controllo, lei rimaneva tappata dentro. Scene da film di 007.
Con due differenti operazioni la finanza, utilizzando la documentazione trovata nelle stanze (quasi) inaccessibili, ha ricostruito la ricca attività svolta in nero risalendo ai nomi dei fornitori di legno, plastica, marmo, alluminio, viti e ferramenta, degli architetti, dei dipendenti, dei camionisti e dei clienti (sia aziende che privati). Per il colonnello Giuseppe De Maio, comandante provinciale delle fiamme gialle, le retribuzioni non dichiarate superavano più del doppio quelle ufficiali.
Per i due titolari l’imputazione è di aver sottratto al fisco somme imponenti. Alessandro Jesse è sospettato di aver nascosto movimento per 100 milioni di euro, Mario Zaccariotto di non aver dichiarato imponibile per 19 milioni e di aver evaso l’iva per 4 milioni. Due magistrati, rispettivamente Giovanni Valmassoi e Giovanni Francesco Cicero, si sono occupati di loro. Adesso entrambi vedono lo spettro del processo. E chissà cosa stanno pensando della (molto presunta) genialità delle loro stanze segrete.