Serve di tutto: la carta per le stampanti e le lampadine, i computer e i telefoni, le stanze e le relative pulizie, le scrivanie e tanto altro. E naturalmente servono i dipendenti. Costerebbe non poco creare al Nord le “sedi di rappresentanza operative” dei ministeri,in base all’accordo raggiunto in un vertice fra il premier Silvio Berlusconi ed esponenti della Lega e poi bloccato in Parlamento.
Formalmente il caso è chiuso, ma il tema più volte è stato messo nel cassetto e poi ritirato fuori. E comunque è opportuno riflettere sul senso della vicenda. Non solo perché la minisecessione di pezzetti dell’amministrazione dello Stato, che la Lega tenta di ottenere dall’incerto governo di cui fa parte, aumenterebbe la spesa pubblica invece di diminuirla come necessario.
C’è un’altra domanda da porsi dopo aver valutato se è logico economicamente allestire nuovi uffici per il piacere di vederli nascere lontano da Roma. Sul piano pratico, al di là dell’intento di dividere la macchina pubblica, qual è il senso del trasferimento degli uffici? La logica dell’operazione può essere discussa sin dai termini adoperati per tentare, almeno finora invano, di trovare il consenso della maggioranza di centrodestra.
Rappresentanza può significare, secondo i dizionari, intervento e azione per conto di persone, gruppi, enti o istituzioni oppure partecipazione di una delegazione e inoltre l’espressione rappresentanza commerciale indica il riferimento per le vendite di un’azienda. In estrema sintesi chi rappresenta qualcuno o qualcosa non ha un ruolo esecutivo. Per esempio, in una società, un presidente con compiti di rappresentanza non ha responsabilità di gestione affidata invece all’amministratore delegato.
E’ logico allora che gli uffici dei ministeri ipotizzati al Nord per le pressioni della Lega siano “sedi di rappresentanza operative”? Sarebbe sensata una soluzione del genere? O invece sarebbe fonte di equivoci? Queste domande possono essere girate al ministro della semplificazione, che esiste. E che, però, è il leghista Roberto Calderoli. Il quale, forse, potrebbe non gradire i dizionari. Poco leghisti.