E chi potrebbe dimenticarli! L’Efim, con le sue aziende di treni e vetro, travolto dai debiti. L’Enimont con il cattivo odore provocato più dal suo comportamento che dalla chimica. La Gepi impegnata a salvare imprese malandate e incapace di salvare se stessa. Sigle gloriose di vicende finite in modo inglorioso. Altra epoca, altra filosofia.
E oggi? Oggi si avverte nell’aria una certa nostalgia per un passato ormai lontano. Il ministro dell’economia Giulio Tremonti rimpiange l’Iri e Mediobanca dei tempi andati. Ovvero il gruppo in mano allo stato che dominava la scena economica e la banca d’affari quando teneva insieme la finanza pubblica con i pochi big dell’imprenditoria privata. Con il risultato di ingessare il mercato, limitando o addirittura rendendo impossibile la concorrenza. E quindi lo sviluppo dell’economia.
La nostalgia è un sentimento nobile. Ma allungare la mano pubblica verso la Parmalat e riaffidare allo stato il compito di gestire aziende, attraverso la Cassa depositi e prestiti, rischia di togliere stimoli, già insufficienti, agli imprenditori e a chi voglia scommettere sull’innovazione, su nuovi prodotti, su nuovi mercati.
Ed è anche poco signorile riservare la nostalgia solo a due nomi benché così importanti come Iri e Mediobanca. Perché pensare solo a loro? Perché trascurare Efim, Enimont e Gepi? Ma l’Italia, per guardare avanti, deve proprio guardare indietro? Forse bisognerebbe fare attenzione. La nostalgia è un virus anche pericoloso. Qualcuno potrebbe arrivare a proporre di lasciare perdere l’euro. E perfino la lira, giudicandola troppo moderna. Ci sono nostalgici dei talleri di Modena o dei fiorini toscani in circolazione prima dell’unità d’Italia?