I lamenti per la lentezza della giustizia italiana sono un classico. A volte un ritornello, perfino noioso. Ma lo svolgimento di un processo in tempi rapidi è un dovere verso gli imputati, le vittime e la collettività. E normalmente è la richiesta di un avvocato, impegnato a chiarire l’innocenza o la posizione del proprio assistito. Appunto normalmente. Ma quando si tratta di mafia criminale, il devastante fenomeno che avvilisce Roma, le cose vanno diversamente.
Infatti la giunta dell’Unione delle Camere penali italiane, ovvero il massimo organo di rappresentanza degli avvocati penalisti, accusa il tribunale di Roma di fare un “uso distorto” del principio della ragionevole durata del processo, “imponendo ritmi incongrui al dibattimento”.
I ritmi definiti incongrui sono una media di quattro udienze a settimana per un totale di 136 previste dal giorno del via, il 5 novembre 2015, fino a luglio 2016. Anche se si condividesse la valutazione di una corsa immotivata, bisogna pertanto tener presente che il processo non finirà prima di nove mesi. Del resto è molto grosso, con i suoi oltre cinquanta imputati, e tratta vicende troppo grosse, con tutto il marcio emerso. Parlare di eccesso di velocità non sembra avere alcun senso.
Ma non è così per l’associazione degli avvocati. I primi a contestare il calendario delle udienze sono stati quelli romani, pronti addirittura allo sciopero. La cosa non può che sconcertare. “Se io fossi un avvocato di Roma annullerei immediatamente la mia iscrizione alla camera penale della capitale” ha commentato incredulo Lirio Abbate dialogando con me giovedì 15 ottobre, nell’ambito di “Pagine in cammino”, la rassegna che ho ideato a Castellaneta (nella foto).
Dopo aver svelato mafia capitale con un’inchiesta giornalistica due anni prima del blitz giudiziario, Lirio Abbate è l’autore, con Marco Lillo, del libro “I re di Roma”, pubblicato da Chiarelettere che ricostruisce il perverso intreccio tra corruzione e politica e le mosse di tutti i protagonisti. E’ sconsolato: “La mobilitazione degli avvocati ci fa capire quanto sia difficile combattere oggi l’illegalità nella capitale”.
Con una città sfiduciata e un’Italia allibita, appare davvero paradossale il sogno degli avvocati di processare piano piano i re di Roma a dispetto dell’esigenza di chiudere presto qualunque causa. Eppure la giunta nazionale delle Camere penali ha fatto sua la mobilitazione decisa dai colleghi romani. Con una nota fa ricorso ad argomenti forti, disapprovando la scelta per il dibattimento dell’aula bunker del carcere di Rebibbia e arrivando a parlare di modello di processo che “militarizza” l’azione penale con una logica definita “devastante” e “securitaria”. L’aula bunker di Rebibbia è certamente scomoda, essendo lontana dalle altre sedi giudiziarie. Ma la sicurezza dovrebbe essere interesse di tutti, no?