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L’intimidazione è molto forte. La reazione deve essere ancora più forte. Le minacce della mafia al procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato impongono la comprensione della gravità di quanto accade, l’esigenza di sapere e di parlarne, l’attenzione collettiva insieme a quella delle istituzioni.

Condivido perciò l’iniziativa di Chiarelettere che dà la possibilità di scaricare gratis in versione e-book da venerdì 10 a domenica 12 ottobre 2014 il suo libro “Il ritorno del principe” scritto con Saverio Lodato. Per il download cliccare qui.

 

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Si può aderire alla campagna di solidarietà su Facebook e Twitter con l’hashtag #UnClickControLaMafia.

Questa la prefazione del libro.


Ho trascorso gli ultimi vent’anni in un luogo che non ammette illusioni: nel bene e nel male qui la vita è nuda e si rivela per quella che è. Per un po’ puoi provare a ignorarla, ma prima o poi ti costringe a guardarla in faccia. Per tanti è come guardare il volto della Medusa: sei fortunato se il cuore non ti si impietrisce per sempre. Per altri è perdere l’innocenza e assumere un altro sguardo su di sé e sul mondo. Se, come diceva Pablo Neruda, «l’importante non è nascere ma rinascere», questo è un luogo nel quale hai buone probabilità di morire o di rinascere. Qui pensare non è un lusso, ma una necessità per evitare che ciò che non hai compreso in tempo ti piombi addosso d’improvviso, come in un agguato, cogliendoti inerme. Quando molti anni fa giunsi a Palermo, rimasi colpito nel constatare che Giovanni Falcone teneva acceso nella sua stanza il Televideo. Talora, al comparire di una notizia apparentemente priva di qualsiasi connessione con il suo lavoro di giudice, si faceva pensoso. Era come se quell’evento – la quotazione in Borsa di una nuova società, la nomina di un ministro – andasse velocemente decodificato per comprenderne la cifra segreta e per calcolarne le possibili reazioni a catena nel quadro complessivo della realtà. Capire come e dove il potere reale del Paese si stava spostando equivaleva a capire dov’era necessario a propria volta spostarsi per evitare di farsi prendere alle spalle o di mettere i piedi su un terreno minato.

Questa lezione nel tempo è entrata a far parte di me e mi ha segnato in modo particolare dopo l’assassinio di Falcone e di Paolo Borsellino. A volte penso che il primo è morto perché per una volta la sua straordinaria intelligenza era stata scavalcata dal precipitare degli eventi. Il secondo, messo sull’avviso dalla strage di Capaci, aveva avuto invece modo di antivedere con il pensiero quanto lo attendeva: aveva visto la morte avvicinarsi giorno dopo giorno come la vittima sacrificale di un Paese troppo vile e immaturo per sapere guardare dentro la propria realtà e proteggere così i suoi figli migliori, salvando se stesso. Questo è un luogo serio: per motivi opposti vittime e carnefici sono infatti condannati a prendere la vita sul serio. A tratti mi pare che questo Paese invece diventi sempre meno serio. Che invece di raccontarsi per quello che è veramente, continui a raccontarsi storie e favole mediocri, finendo per crederci e per smarrire così la propria identità. «Noi siamo i nostri demoni» diceva Goethe. Penso che ciò valga non solo per gli individui, ma anche per i popoli. In questo libro ho provato a descrivere i demoni del Paese. Quelli che hanno insanguinato la sua lunga storia e quelli che predando le sue risorse lo stanno condannando a un lento declino. Con loro ho avuto una lunga frequentazione. A volte, quando taluno mi chiede che vita io faccia, sono solito rispondere che frequento assassini e complici di assassini. In effetti il tempo trascorso a interrogarli nelle carceri, ad ascoltare le loro conversazioni intercettate, a riannodare i fili di tanti delitti, ha divorato tanta parte della mia vita. All’inizio ero convinto di dovermi confrontare con una sorta di impero del male, con un mondo alieno da attraversare giusto il tempo necessario per poi ritornare nel mondo degli onesti, delle persone normali.

Poi lentamente la linea di confine ha preso a divenire sfumata, fino quasi a dissolversi. Inseguendo le loro tracce, sempre più spesso mi accadeva di rendermi conto che il mondo degli assassini comunica attraverso mille porte girevoli con insospettabili salotti e con talune stanze ovattate del potere. Ho dovuto prendere atto che non sempre avevano volti truci e stimmate popolari. Anzi i peggiori tra loro avevano frequentato le nostre stesse scuole, potevi incontrarli nei migliori ambienti e talora potevi vederli in chiesa battersi il petto accanto a quelli che avevano già condannato a morte. Nel tempo ho compreso che quello degli assassini è spesso il fuori scena del mondo in cui tanti sepolcri imbiancati si mettono in scena.





 


 

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